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Il modello galileiano. *

SOMMARIO

1) la ricerca di descrizioni quantitative dei fenomeni fisici e la loro inclusione in formule matematiche. *

2) Isolamento e misurazione delle proprietà più fondamentali dei fenomeni. *

3) Costruzione deduttiva della scienza sulla base dei principi fisici fondamentali. *

4) Scienza ed esperienza. *

5) La legge causale. *

 

Il modello galileiano

1) la ricerca di descrizioni quantitative dei fenomeni fisici e la loro inclusione in formule matematiche.

Nella semplice situazione di una palla lasciata cadere da una mano, l'atteggiamento della scienza tradizionale sarebbe stato quello di speculare sul perché la palla cade, ricercando la "fonte interna" capace di produrre il movimento del fenomeno in osservazione..

L'appello alla nozione di "fonte interna" era tipico della tradizione aristotelica, che utilizzando i concetti di forma, essenza, causa finale, forza naturale agente ecc. forniva, in questo modo, spiegazioni dei fenomeni studiati.

Le spiegazioni aristoteliche erano finalistiche, fondate cioè sul principio che il futuro determini il presente.

Un esempio può aiutarci a chiarire questo punto.

Immaginiamo un osservatore che studi con intenti sistematici il comportamento animale. Egli potrebbe notare che, in presenza di certe condizioni ambientali, gli individui della specie di cui si sta interessando, manifestano una qualche regolarità nei loro comportamenti (alimentari, riproduttivi, migratori o altro).

Il nostro osservatore potrebbe limitarsi registrare quanto rilevato, descrivendo quei comportamenti, annotando in dettaglio le circostanze del loro apparire, indicando le connessioni che l'esperienza ha mostrato.

Oppure potrebbe, riflettendo sul materiale raccolto, teorizzare l'esistenza di un "istinto adattivo" che, date quelle circostanze, spinge gli animali a rispondere in quel modo.

In questo secondo caso egli si impegnerebbe ad avanzare una spiegazione di quei comportamenti. Nella spiegazione fornita, la regolarità osservata risulterebbe conseguenza necessaria dell'entità nascosta di cui si ammette la presenza (l' "istinto adattivo") nonché delle finalità (l'adattamento) che le sarebbero proprie.

Questo tipo di spiegazioni è esplicitamente rifiutato da Galilei: la nuova scienza, egli scrisse in una lettera a Keplero, deve essere scienza del come e non del perché.

Se vi è una regolarità nel movimento di una palla che cade, compito della scienza sarà allora quello di descrivere questa regolarità e non di speculare sulla sua "fonte interna".

Lo scienziato osserva che la distanza che la palla percorre dal suo punto di partenza aumenta con il passare del tempo dall'istante dell'inizio della caduta e quindi traduce questa osservazione in linguaggio matematico.

Se chiamiamo variabili la distanza percorsa in caduta dalla palla e il tempo trascorso dall'inizio della caduta, lo scienziato si chiede: esiste una qualche relazione esprimibile in termini matematici, tra queste variabili?

Oggi, la risposta cercata si scrive in quella forma stenografica nota come formula (nel caso in esame, essa è: s=4,9t2; ad esempio: in 3 secondi la palla percorre 4,932 ossia 44,1 metri, in 4 secondi la palla percorre 78,4 metri e così via), che concisa, esatta e quantitativamente completa contiene una quantità enorme di informazione (per ciascun valore di una variabile si può calcolare esattamente il valore corrispondente dell'altra; nella formula considerata, questo calcolo può essere eseguito per milioni di valori della variabile tempo, anzi, per un numero di valori infinito).

La formula è un modo di rappresentare una relazione tra variabili.

La relazione considerata in se stessa, è chiamata oggi funzione o relazione funzionale.

Tali relazioni sono valide praticamente in ogni ambito.

Poiché la pressione dell'atmosfera varia con l'elevazione al di sopra della superficie della Terra, esiste una relazione funzionale tra la pressione e l'altitudine. Similmente, il costo di un articolo artigianale, dipende, cioè ne è una funzione, dal costo delle materie prime, dalla mano d'opera e dalle spese generali. In quest'ultimo esempio, le variabili sono quattro, una delle quali, il costo dell'articolo, dipende dalle altre due.

 

2) Isolamento e misurazione delle proprietà più fondamentali dei fenomeni.

Una formula stabilisce una relazione tra i valori numerici di enti fisici variabili come la pressione e la temperatura. Questi enti devono essere perciò misurabili.

Galilei si propose, allora, di isolare quegli aspetti dei fenomeni naturali che sono fondamentali e passibili di misurazione. Perseguendo questo obiettivo, introdusse un ulteriore elemento di innovazione.

La scienza aristotelica si era accostata alla natura nei termini di concetti come essenze, origini, forma, qualità, causa finale e simili. Queste categorie non si prestano alla quantizzazione.

Nel quadro di un modello teorico che fissava nella materia in moto nello spazio e nel tempo la caratteristica fondamentale della natura, Galilei analizzando i fenomeni naturali e riflettendo su di essi, decise di concentrare la propria attenzione su concetti come lo spazio, il tempo, il peso, la velocità, l'accelerazione, l'inerzia, la forza e la quantità di moto, rivelando in questo una geniale creatività, in quanto i concetti che scelse non erano facilmente misurabili, né facilmente identificabili come i più importanti. Alcuni, come l'inerzia, non sono nemmeno posseduti dalla materia in modo manifesto; altri, come la quantità di moto, dovevano essere prodotti appositamente.

Affascinato dal modello euclideo, Galilei era convinto che si potessero trovare alcune leggi del mondo fisico le quali avrebbero potuto apparire incontestabilmente vere come l'assioma geometrico che dice che tra due punti qualsiasi può essere tracciata una linea retta. Una volta scoperte, queste verità di base avrebbero consentito di ottenere per via sintetico-deduttiva altre verità intorno alla natura, esattamente nel modo in cui i teoremi di Euclide seguono dai suoi assiomi.

 

 

3) Scienza ed esperienza.

Ma come trovare questi principi fondamentali?

Lo studio della materia in movimento, portò Galilei ad affrontare il problema dei moti di rotazione e di rivoluzione della Terra entrando così in conflitto con l'unico sistema di meccanica che il mondo dell'epoca possedesse, ossia la meccanica di Aristotele (v. SCHEDA p.376 e TESTO n°2, p. 393).

Aristotele riteneva che per tenere un corpo in movimento si richiedesse una forza.

Ma la cosiddetta "prima legge del moto di Newton" ("un corpo non soggetto a forze continuerà a muoversi indefinitamente ad una velocità costante e in linea retta"), che, in realtà, fu Galilei a scoprire, presenta le cose diversamente. La legge dice che un corpo varierà la sua velocità solo nel caso che su di esso agisca una forza. I corpi posseggono così la proprietà di resistere alle variazioni di velocità. Questa proprietà della materia, ossia la resistenza a variazioni di velocità, è la sua massa inerziale o semplicemente la sua massa.

Ma come fece Galilei ad arrivare a questa legge?

Galilei affrontò il problema staccandosi dal modo in cui il senso comune guarda le cose.

Egli, agendo da matematico, idealizzò il fenomeno ignorando alcuni fatti a favore di altri, esattamente come il matematico idealizza la corda tesa e lo spigolo di una riga concentrando la sua attenzione su alcune proprietà ad esclusione di altre. Ignorando l'attrito e la resistenza dell'aria e immaginando che il moto avesse luogo in un puro vuoto euclideo, egli scoprì il principio fondamentale. Il suo metodo consisté nel geometrizzare il problema e ottenere poi la legge.

Certo, l'attrito e la resistenza dell'aria sono reali: essi causano la perdita di velocità dell'oggetto e il suo arresto finale. Essi, però, guardati in questa luce, sono fattori addizionali che si sovrappongono al fenomeno fondamentale, secondo il quale un oggetto in moto continua a muoversi indefinitamente con velocità costante. Talvolta l'attrito e la resistenza dell'aria sono praticamente trascurabili, come quando un pezzo di piombo di mezzo chilo cade al suolo da un'altezza di un qualche centinaio di metri. Il riconoscimento del fatto che queste forze addizionali sono presenti consente anche di minimizzare il loro effetto.

Il paradosso della scienza moderna sta nel fatto che lo scienziato appare distorcere un problema idealizzandolo al punto da offendere il senso comune e procedere poi per ottenere la soluzione corretta.

 

 

4) La legge causale.

Come abbiamo visto, una formula è un modo di rappresentare una relazione tra variabili. D'altra parte, le variabili che la formula mette in relazione sono supposte riferirsi a cose tra cui intercorre un rapporto rilevante, significativo. Altrimenti, noi potremmo mettere in relazione, che so, il numero dei matrimoni nel Siam con il prezzo dei ferri di cavallo a New York, visto che queste quantità variano di anno in anno. Una tale formula non avrebbe alcun valore per la scienza; essa non comprende alcuna informazione utile.

Le cose che sono messe in relazione devono avere un qualche rapporto significativo tra loro.

Galilei sostiene che, date quantità variabili tra cui esiste un rapporto significativo, non è speculando su questo rapporto che si può fare scienza, bensì solo descrivendolo in modo appropriato e in un linguaggio preciso.

La storia della scienza moderna, che da questo modo di pensare deriverà, sarà la storia della graduale eliminazione di dei e demoni e della riduzione di nozioni vaghe sulla luce, il suono, la forza, i processi chimici e altri concetti, a numeri e a relazioni quantitative.

Una certa classe di queste relazioni possiede caratteristiche molto particolari. Per distinguerla, si parla, in questo caso, di relazioni causali e leggi causali, dato il nuovo concetto di causa elaborato dalla scienza moderna.

Ma che cos'è una legge causale?

Uno storico della scienza contemporaneo definisce le leggi causali indicando quattro condizioni:

(1) una legge causale asserisce una relazione invariabile tra eventi, nel senso che ogniqualvolta si verifica la causa, si verifica anche l'effetto;

(2) le leggi causali sono leggi di successione: esse collegano eventi che hanno luogo in un certo momento con eventi che hanno luogo in un altro momento;

(3) gli eventi che esse collegano sono spazialmente contigui;

(4) la relazione causale, che tali leggi implicano, è asimmetrica: se a è causa di b, b non può essere la causa di a.

La relazione tra eventi che si stabilisce in una descrizione quantitativa (la relazione di determinazione) e la relazione causa/effetto non sono affatto in conflitto tra di loro e anzi coincidono su molti punti:

Tuttavia, i due tipi di relazione differiscono per qualche importante aspetto e non tutte le leggi deterministiche sono anche leggi causali. .

Le leggi rigorosamente deterministiche della meccanica classica, infatti, sono essenzialmente reversibili nel tempo; esse, cioè, non stabiliscono quali degli stati successivi abbiano luogo "prima" e quali "dopo". Le leggi della meccanica classica sono simmetriche rispetto al tempo: "permettono" ai processi che descrivono, di avvenire nelle due direzioni.

Una legge del genere è sostanzialmente differente da una legge causale, per la semplice ragione che la relazione causa/effetto non deve essere reversibile nel tempo. L'evento chiamato "causa" non può accadere dopo l'evento che si ritiene sia il suo effetto.

Questa specificità della legge causale ha portato a pensare che essa dovesse contenere molto di più di quanto stabilito dalle quattro condizioni indicate sopra.

Una legge causale, si è detto, non si limiterebbe ad asserire che se A, allora sempre (o con qualche probabilità) B, bensì che A genera, produce B; che tra A e B esiste qualche specie di connessione intima e necessaria che non può essere ricondotta alla pura e semplice successione; che è per qualche motivo logico o metafisico (sostanziale) che è impossibile che B non accada se A è già accaduto.

Le leggi causali sarebbero, allora, in grado di fornire una risposta alla domanda: "Perché ha luogo proprio questa successione regolare di eventi?". E ci si aspetta che tali leggi spieghino queste regolarità nei termini di certe interazioni, di certe forze, e così via. Esse mostrerebbero come la successione regolare di stati o di eventi (di cui si possiede una descrizione quantitativa) è dovuta all'esistenza, in natura, di certi legami causali.

Per questa via, il problema del "perché", che Galilei avrebbe voluto lasciare fuori la porta della scienza, rientra nel pensiero moderno.