Linguaggio e realtà, la "svolta linguistica"

Come Frege e Russell, Wittgenstein , nella sua ricerca sull’"essenza" della logica, era portato ad interessarsi al problema dell’ ideografia, ossia di un linguaggio ideale.

Anche in questo caso, tuttavia, le posizioni del filosofo austriaco appaiono distinte e originali

In Russell

Wittgenstein,

  • Le proposizioni logiche, infatti, hanno un pregio speciale: esse "designano" in un modo caratteristico e distintivo. A differenza delle proposizioni empiriche, "mostrano", ma non "dicono". Ciò significa che la loro verità puù essere accertata "sulla base del solo simbolo" (cfr. Moore Notes, 107).

    Quest’ultima affermazione è molto importante.

    Essa, infatti, testimonia quel passaggio dal pensiero al linguaggio che è all’origine della "svolta linguistica" della filosofia moderna.

    In precedenza, già altri filosofi avevano affermato che le proposizione a priori possono essere verificate mediante la semplice ispezione dei loro significati, considerando esclusivamente i pensieri in esse espresse. Ma Wittgenstein introduce un’innovazione: i pensieri vanno considerati solo in quanto si incorporano in quella che egli chiama "proposizione sensata".

    L’antico problema del rapporto tra pensiero e realtà (di cui un aspetto consiste nella domanda: se la matematica pura è fondata esclusivamente sul pensiero, come può applicarsi alla realtà?) si trasforma, così, nel più fecondo problema del rapporto tra linguaggio e realtà..

    Wittgenstein si propone di delineare un’ideografia, un simbolismo (e quindi un linguaggio ideale) capace di mostrare adeguatamente la struttura della realtà.

    Egli sperava che lavorando sul piano del linguaggio, semplicemente confrontando simbolismi alternativi, senza esplicito riferimento alla realtà da essi rappresentata, fosse possibile individuare i caratteri necessari, le invarianti, presenti in tutti i simbolismi – cosa che, indirettamente, avrebbe a sua volta rivelato la forma del mondo.

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