TERMINE:> diallelo

domenica 1 dicembre 1996

AUTORE:> Sesto Empirico

OPERA/E:> Schizzi pirroniani

FONTE:> direttamente dal testo.

TRADUZIONE/I: > circolo vizioso.

Circa cinquecento anni dopo Aristotele (morto nel 322 a.C.), Sesto Empirico (vissuto probabilmente a cavallo tra il II ed il III secolo d.C.) riflette criticamente sul procedimento sillogistico, che ai suoi occhi appare inficiato da un circolo vizioso. Volendo inferire la proposizione singolare "Socrate è animale" dall'universale "Ogni uomo è animale", infatti, gli scienziati (aristotelici) argomentano: "Ogni uomo è animale. Socrate è uomo, dunque Socrate è animale", di modo che la conclusione "dunque Socrate è animale" risulti fondata sillogisticamente per via dell'universale. Ma "Ogni uomo è animale" si fonda a sua volta sull'induzione dai casi particolari; giacché è il fatto che Socrate è uomo e animale, e analogamente lo sono Platone, Dione ecc., che rende possibile confermare la proposizione universale, quando non si verifichi che anche uno solo di questi casi particolari sia contrario agli altri. Ne viene che la proposizione universale è fondata induttivamente per via delle singolari fondate sillogisticamente per via dell'universale. E in questo consiste, appunto, il circolo vizioso[1].

Sotto un certo aspetto, questa testimonianza di Sesto Empirico non rende giustizia al pensiero di Aristotele, il quale, convinto com'era che non potesse darsi scienza dell'individuo e che non si dovesse far ricorso a proposizioni singolari in contesti dimostrativi, non avrebbe riconosciuto l'argomentazione "Ogni uomo è mortale, Socrate è uomo ecc." come un esempio accettabile di inferenza sillogistica.

Ma che dire di questa interpretazione della proposizione universale?

 

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Secondo il Kneale[2], il rilievo che nella concezione aristotelica finisce per assumere la sostanza prima come soggetto ultimo della predicazione porta alla tesi che tutte le verità basilari siano della forma "Questo [questa sostanza prima]  è (o non è) così" e che le altre verità o derivino, o dipendano da queste. Le verità che più direttamente dipendono da queste sono quelle che presentano la stessa forma, e cioè le proposizioni universali della logica aristotelica, che, perciò, possono venir spiegate in termini di proposizioni singolari. E, infatti, Aristotele scrive: "Noi diciamo che un termine [per es. "animale"] viene predicato di tutto un altro [per es. "uomo"] quando non si può trovare alcun esemplare di quest'ultimo di cui non si possa asserire il primo"[3].

Questa citazione (che riportiamo così come si trova nel testo di Kneale[4]) costituisce, in realtà, un passo piuttosto delicato. Essa sembra suggerire il principio[5] che ciò che si predica di un tutto si predica pure di quanto è contenuto in questo tutto; che un tutto non dica niente di più di quanto dicono le sue parti; che una proposizione universale non dica niente di più di quanto dicono le proposizioni singolari da cui deriva o dipende.

Essa sembra, cioè, aprire la strada a quelle elaborazioni che, molti secoli dopo Sesto, porteranno ad esplicite formulazioni nominalistiche.

Pare che il primo dei nominalisti sia stato Roscellino da Compiègne (1050-1120 circa), a causa del quale furono scatenate sanguinose lotte nell'università di Parigi. Ma fu soprattutto con l'inglese Guglielmo d'Occam (1295- 1350 circa) che le idee che costituiscono questo indirizzo di pensiero, rimasto a lungo nell'ombra, uscirono allo scoperto e si trasformarono in una coerente concezione filosofica.

Ciò che distingue il credo dei nominalisti è la convinzione che tutte le cose, eccetto le sostanze singolari, non siano che meri nomi; essi perciò negano del tutto la realtà dei termin astratti e universali.

L'umanista emiliano Nizolio (1498-1576), per esempio, di cui nel 1670 Leibniz curerà una nuova edizione dell'opera Anti-barbarus (1553)[6], sostiene che un universale non è niente altro che tutti gli individui assunti simultaneamente e collettivamente.

 

 

 



[1] Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 204, in

     R. Mondolfo, Il pensiero antico, La Nuova Italia, Firenze, 1961.

 

[2]  Cit. p. 42.

 

[3]  An. pr. I, 1, 24b 28.

 

[4]  Trad. it. di Amedeo G. Conte. Kneale utilizza:

Aristotle's Prior and Posterior Analytics, testo riveduto con introduzione e commento di D. Ross, Oxford 1949.

La traduzione di Giorgio Colli dell'intero passo (24b, 28-32) è la seguente: "Il dire che un termine è contenuto nella totalità di un altro termine equivale al dire che il secondo termine si predica di ogni oggetto indicato dal primo. Usiamo così l'espressione "venir predicato di ogno oggetto" quando non sia possibile cogliere alcun oggetto -tra quelli che costituiscono il sostrato- di cui non si dica l'altro termine. Lo stesso accade per l'espressione: "venir predicato di nessun oggetto"; in

Aristotele, Opere vol. I, Laterza p. 86.

 

[5]  Ma si veda su questo punto la nota del Colli a p. 87 dell'edizione citata.

 

[6]  Anti-barbarus seu de veris principiis et vera ratione philosophandi contra pseudophilosophos, Parma 1553.