Marx
e il problema dell’astrazione scientifica
Nelle sue Theories
of value, 1973, quando spiega le caratteristiche più significative delle
teorie di Marx, M. Dobb ne sottolinea il processo di costruzione come parte di
un più ampio dibattito culturale e come impresa intellettuale di una mente
ancora impegnata nella elaborazione e
nella ricerca delle categorie del sistema. Vi sono due diversi approcci
interpretativi cui possiamo far ricorso per illustrare e render conto di un
sistema: possiamo concentrarci sulle relazioni che intercorrono tra i concetti
che lo costituiscono o entrare nella sua fucina e seguire passo passo il lavoro
che a mano a mano lo produce. Nel primo caso, diamo come presupposti l’ambiente
cui quel pensiero appartiene, i suoi non lineari percorsi riflessivi,
l’intreccio empiricamente determinato delle esistenze e delle biografie
intellettuali; nel secondo caso è invece proprio questo intreccio ad attirare
la nostra attenzione e a diventare il terreno delle nostre indagini. Dal
momento che Dobb sembra muoversi nella seconda direzione, deve esserci una
qualche importante ragione che lo spinge su questa via piuttosto che
sull’altra, una ragione che si rivela nel discorso che egli conduce e nei
risultati cui mira e che ottiene: gettare luce sulle mosse iniziali da cui
scaturisce il pensiero di Marx e portarlo fuori da quella specie di recinto
protettivo all’interno del quale una certa tradizione marxista ha spesso finito
per rinchiuderlo, condannandolo alla sterilità dell’isolamento culturale. Lo
status logico ed epistemologico delle teorie di Marx, nell’opera di Dobb,
appare sostanzialmente non diverso da quello degli altri autori, di cui il
libro fornisce un’esposizione critica. Se mettere in piedi una teoria significa
porre in relazione ciò che alla coscienza comune sembrano solo cose disperse in
uno spazio privo di legami, allora la mossa fondamentale deve consistere nel
fissare le coordinate concettuali per mezzo delle quali quelle relazioni
possano essere individuate, messe in evidenza e confrontate.. Abbiamo bisogno
di coordinate concettuali per poter comprendere le somiglianze e le differenze
di ciò che costituisce l’oggetto del nostro esame, che altrimenti non saremmo
neanche in grado di notare. Consideriamo
- per far ricorso ad un breve esempio che potrebbe aiutarci a chiarire
il punto che stiamo cercando di illustrare – queste due ben diverse situazioni:
(a) Abramo era figlio di Terah e Terah era discendente di Sem (Genesis,
11, 27) ; (b) 11 è l’immediato successore di 10 e 10 è maggiore di 3. Sono
scelte da contesti che non hanno niente a che fare l’uno con l’altro e
appartengono a due distinte sfere della cultura. Nondimeno, un logico
osserverebbe che la coppia “successore immediato di” e “figlio di”, così come
la coppia “maggiore di” e “discendente di”, identificano relazioni che hanno le
stesse proprietà formali; che quando concludo (a)’ dunque, Abramo era
discendente di Sem, (b)’ dunque, 11 è maggiore di 3, genero inferenze che altro
non sono se non due differenti esemplificazioni della stessa struttura formale.
Naturalmente, il logico può sostenere una cosa del genere in quanto fa suo un
punto di vista formale, il cui elemento distintivo consiste nella scelta di
fondo che lo porta a guardare gli oggetti di cui si interessa come forme piuttosto
che come contenuti. Ma la morale della storia è che ci vuole un tertium
per confrontare le cose. Dobbiamo fare una scelta di fondo e selezionare un
qualche aspetto in base al quale tutti gli oggetti del campo che stiamo
indagando possano essere considerati come analoghi.
Marx concentra la
propria riflessione sul problema dell’appropriazione nella storia; ed è
da questo punto di vista che istituisce un’analogia tra passato e presente, tra
le forme economiche e sociali della società del XIX secolo e le altre
precedenti forme della società di classe. Appropriazione deve essere
inteso qui nel senso di sfruttamento, vale a dire acquisizione di una
quota della produzione da parte di chi non svolge alcun ruolo produttivo. La
nozione di sfruttamento, dice Dobb, è da prendersi come una descrizione
fattuale dei rapporti economico-sociali, allo stesso modo in cui, per esempio,
Marc Bloch caratterizza il feudalesimo come un sistema nel quale i signori
“vivono sul lavoro degli altri uomini. E’ sulla base di questa nozione, data
l’analogia di cui sopra, che Marx può guardare alla storia come ad una
successione di modi di produzione, i cui diversi periodi trovano nell’ appropriazione
/ sfruttamento il loro tratto distintivo, e quindi assegnare alla
sua ricerca il compito di investigare i mezzi politici, militari, giuridici ed
economici mediante i quali l’appropriazione si verifica. Ci sono
situazioni in cui l’appropriazione è imposta per legge o con la forza
delle armi e situazioni in cui l’appropriazione si impone di fatto, come
avviene nella specifica forma dello sfruttamento capitalistico. Nella teoria economica che Marx sta
elaborando, l’esistenza dello sfruttamento è data per scontata: fornire
prove su questo punto non è ciò che la teoria si propone. Ciò che la teoria si
propone, dice Dobb, è piuttosto la trattazione di una questione teorica, la
questione teorica che sorge quando l’idea che concerne la presenza dello sfruttamento
si incontra con le analisi che provengono dalla letteratura economica:
l’esistenza dello sfruttamento nella società capitalistica è in
contraddizione con la “teoria del valore” ? Come è possibile che si verifichi
lo sfruttamento nel regno della concorrenza e della “mano invisibile”,
dove i beni sono scambiati al loro “valore naturale” ?
Gli economisti che
Marx critica, concentrano la loro attenzione sulla sfera della circolazione,
dove, essi sostengono, ogni scambio è regolato da libere relazioni contrattuali
ed è la stessa concorrenza a garantire l’equivalenza dei soggetti implicati
nelle transazioni. Secondo la “legge del valore” le merci sono scambiate al loro
“valore” (in proporzione al lavoro). Ma lo sfruttamento implica l’idea
che vi debba essere, in qualche luogo della vita economica della società,
qualcosa di non equivalente. Come è noto, Marx assume la “legge del
valore”. Dunque, se lo sfruttamento esiste non può trovarsi nella sfera
della circolazione. Avendo fatta propria questa impostazione, Marx è quindi
condotto a compiere il passo successivo: egli analizza lo sfruttamento indagando
ciò che avviene nel corso del processo di produzione e postula l’esistenza di
un determinato saggio di sfruttamento o del plusvalore, precedente alla
formazione dei valori di scambio, o prezzi, e da questa non derivato. Il
problema diviene allora quello di riuscire a definire il saggio di
sfruttamento senza far riferimento al processo dello scambio. Se avesse seguito Ricardo, Marx avrebbe
potuto risolvere il problema facendo ricorso ad un unica merce, il grano, presa
come rapporto, non dipendente dalle variazioni dei prezzi. Ma per gli scopi di
Marx, osserva Dobb, molto più funzionale del ricorso ad una merce singola era
l’espressione del saggio del plusvalore in termini di lavoro, ossia come
rapporto tra il lavoro effettivamente erogato, che corrisponde al prodotto, e
il lavoro che corrisponde al salario anticipato. Come fa ogni relazione, anche
questo rapporto “genera” i suoi elementi e introduce così una
differenza nel significato della parola “lavoro” che ora si distingue in
“lavoro”, inteso come quantità che può essere venduta e comprata sul mercato, e
“lavoro”, inteso come energia lavorativa effettivamente erogata. Una volta
definito il saggio di sfruttamento, è rivelata la fonte del plusvalore
e il problema di conciliare sfruttamento e “legge del valore” può
ricevere una risposta. La soluzione,
come è noto, consiste in quella differenza tra forza lavoro e lavoro, che occupa un posto centrale
nella teoria di Marx. Il capitalista anticipa i salari calcolati sul valore di
scambio della forza lavoro. A sua volta, questo valore di scambio è
determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario richiesto per
“produrre” l’operaio, ossia dal lavoro necessario per il suo sostentamento e la
sua istruzione. In cambio, il capitalista riceve il lavoro dell’operaio
(il suo valore d’uso ). Che il valore del lavoro sia maggiore del
valore pagato per i servizi resi dal lavoratore, è il principio cruciale del
sistema capitalistico, che non potrebbe riprodurre se stesso se non mantenesse
questa differenza. Ma per mantenere la differenza, il sistema ha bisogno
dell’esistenza di un terreno storico e istituzionale. Ha cioè bisogno di un proletariato,
che non possiede né terra né proprietà, interamente dipendente per la sua
sopravvivenza dalla vendita della propria forza lavoro in cambio di un
salario. Le nozioni di saggio di sfruttamento, forza lavoro e lavoro,
plusvalore costituiscono il sistema di riferimento concettuale della
teoria di Marx. .
Sorge ora un nuovo
problema e cioè il problema che deriva dal fatto che Marx ricorre alla coppia forma
fenomenica / essenza per sottolineare il contrasto tra la visione delle
cose che risulta dalla sua teoria intorno alla società capitalistica e quella
degli economisti. Dato che gli economisti assumono la sfera della circolazione
come loro piattaforma di lavoro, essi finiscono per rimanere impantanati su ciò
che altro non è se non la forma fenomenica di un’essenza che
rimarrebbe al di là della loro comprensione. Dopo più di un secolo dalla morte
di Marx., occorre riconoscere che questa metafora dell’ “andare oltre la forma
fenomenica” è stata molto potente, ma anche drammaticamente fuorviante. Essa ha indotto alcuni a credere che vi
fosse una specie di debolezza logica nel lavoro degli economisti, le cui procedure
razionali sarebbero state insufficienti a render conto della complessità del
loro oggetto di studio. Al contrario, la superiorità della teoria di Marx,
deriverebbe da un qualche speciale tipo di astrazione, che gli avrebbe
consentito di penetrare la superficie dell’esperienza e raggiungere le profondità, dove si
celerebbe la vera essenza. Come tentativo di fornire una spiegazione
della differenza che distingue Marx dagli economisti, questo modo di raccontare
le cose è forse solo una favola scritta ad uso dei “fedeli”. Questo però non esclude
che in essa vi sia un grano di verità.
E’ vero, infatti, che quando si prendono in considerazione i motivi e
gli obiettivi del lavoro di Marx, il contrasto appare molto profondo e
importante. Marx si proponeva di elaborare una visione d’assieme dello sviluppo
dell’intero sistema della società umana. La sua riflessione economica era solo
una parte, benché una parte fondamentale, delle sue concezioni onnicomprensive,
che si preoccupano dell’infelicità dell’uomo nella società di massa non meno
che del modo in cui questo produce beni e servizi. Egli però pensava anche che
qualsiasi indagine che riguardasse le idee e la cultura di una certa epoca
storica dovesse essere sostenuta da un’analisi scientifica delle forme
determinate della sua esistenza empirica. Come abbiamo visto, nelle sue Theories,
Dobb si sofferma particolarmente su quest’ultimo aspetto del lavoro di Marx: la
concezione che dell’ astrazione scientifica questi aveva non è
sostanzialmente diversa da quella degli altri autori delle Theories.
Bibliografia.
M. Dobb, Theories of value and
distribution since Adam Smith – Ideology and economic theory, Cambridge
1973.
K. Marx, Teorie sul plusvalore, Roma 1973.
S. Koerner, Sistemi di riferimento categoriali, Feltrinelli.
F. Gil, Strategie conoscitive nella ricerca scientifica, in Scienza e Tecnica ’76, Milano.
L. Laudan, I modelli nella storia della scienza, in Scienza e Tecnica ’76, Milano.
L. Geymonat, Storia della scienza e filosofia, in Scienza e Tecnica ’76, Milano.
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