I fisiocratici nella lettura di Marx.

di Stefano Garroni

 

 

 

E’ noto come l’intera elaborazione marxiana in ambito economico (come d’altronde in tutti gli altri terreni, su cui si distende) sia strettamente legata alle vicende ed alle contraddizioni non risolte[1], che caratterizzano la storia dello stesso pensiero economico[2]. Voglio dire che anche gli elementi fondamentali di critica e rielaborazione della politische Ökonomie, depositati nelle pagine di Marx, non sono il frutto di un ‘nuovo inizio’, ‘genialmente’ intuito e che pretenda azzerare la tradizione elaborativa; sì al contrario risultano da una riconsiderazione di quest’ultima, che nasce per altro sia da difficoltà, generalmente riconosciute, interne all’economia politica, sia da ripensamenti di essa, che precedono la stessa riflessione di Marx. Per fare un esempio, è certo che l’interesse di Marx per l’elaborazione fisiocratica –nella misura in cui egli la conosce[3]- ha a monte una già esistente letteratura ed, in particolare, importanti pagine di Adam Smith, il quale seppe già cogliere della lezione fisiocratica quanto costituiva un effettivo avanzamento dal punto di vista della conoscenza scientifica[4].

E’ bene tener presenti queste osservazioni, perché in realtà –e contro quanto potrebbe sembrare di primo acchito-, l’importanza di una teoria consiste, anche, nei legami, che essa può esibire con una storia culturale, con un’esperienza diffusa e che si intreccia con problematiche diverse ma, tutte, di sicura rilevanza storica; solo in questo senso, a quella teoria può riconoscersi concretezza storica: ed appunto questo capita con la teoria di Marx. Ma entriamo nel merito del nostro problema, ovvero, di come Marx legga l’elaborazione fisiocratica.

Come chiarisce lo stesso Marx, i fisiocratici, pur muovendosi all’interno dell’orizzonte borghese, riescono ad analizzare le diverse componenti esteriori –empiriche, materiali (gegenständlich[5])-, in cui effettivamente il capitale si espone e scompone[6], nel corso del processo di lavoro. (MEW, 26.1: 12). Come tutti i loro successori, continua Marx, anche i fisiocratici, però, scambiano la forma capitalistica (dunque, propriamente storica) della produzione con la sua forma naturale, puramente tecnica; tuttavia, pur fraintendendo le leggi della produzione borghese con quelle della produzione sans phrase, i fisiocratici afferrano, tuttavia, un aspetto fondamentale: ovvero, che le leggi della produzione (comunque intesa –in senso storico o naturale) valgono a prescindere dall’arbitrio umano, dalla mera volontà –in questo senso, dalla politica. (MEW, 26.1: 12).[7]

Com’è noto, condizione fondamentale perché si svolga la produzione capitalistica è che si trovino, l’uno di fronte all’altro e come merci indipendenti, capitale (o condizioni di lavoro) e capacità di lavoro (Arbeitsvermögen).[8] Il valore della capacità di lavoro è pari al tempo di lavoro, che è richiesto per produrre i mezzi di vita, necessari alla restaurazione di quella stessa capacità, ovvero, è pari al prezzo dei mezzi di vita, necessari all’esistenza del lavoratore, in quanto lavoratore. (MEW, 26. 1: 13).[9]

Merito dei fisiocratici è, appunto, essersi posti il problema di come determinare il valore della capacità di lavoro, ovvero, di aver voluto stabilire quel punto o livello, intorno al quale il valore effettivo della capacità di lavoro volta a volta oscilla e il salario si orienta; tale valore è per i fisiocratici il prezzo dei mezzi di vita necessari alla riproduzione della stessa capacità di lavoro: dunque, il valore consiste in una certa somma di determinati valori d’uso.

Il fatto è, però, che il proprietario terriero, nell’analisi fisiocratica, si contrappone al lavoratore esattamene come un capitalista (proprietario privato delle condizioni oggettive di lavoro), dunque, come chi, in cambio del salario, ottiene il diritto di usare l’Arbeitsvermögen del lavoratore[10], che è una merce o valore particolare, dacché applicandosi, si valorizza.

Questa Verwertung o valorizzazione significa che, usata, la capacità di lavoro si estrinseca in prodotti, la cui somma dà una quantità di valore, superiore rispetto a quella della stessa capacità di lavoro e, dunque, del salario. (MEW, 26. 1: 13, 21).[11]

I fisiocratici hanno saputo avanzare verso la conquista di queste conoscenze, in quanto già avevano introdotto un’importante novità nell’analisi economica, nel senso che avevano spostato la ricerca sull’origine del plusvalore, dal piano della circolazione –come avveniva con i Mercantilisti e con lo stesso J. Steuart (MEW, 26. 1: 7)- a quello della produzione: in questo modo, i fisiocratici hanno effettivamente aperto la strada, che può condurre alla comprensione scientifica del modo capitalistico di produzione (MEW, 26. 1: 14). Tuttavia –e lo abbiamo già accennato-, c’è un limite, che impedisce all’analisi fisiocratica di svolgersi ed avanzare coerentemente.

I fisiocratici si attengono, correttamente, al principio fondamentale, secondo cui lavoro produttivo è solo quello, che produce più valore di quanto non sia stato consumato svolgendosi la produzione.

Ora, essendo dato il valore della materia prima e del materiale impiegati nella produzione, nonché il valore della capacità di lavoro (ovvero, il minimo salariale), il plusvalore non può derivare se non da un surplus di valore fornito dal lavoro: i Fisiocratici, però, non giungono a questa conclusione.

E il motivo, dice Marx, va ricercato nel fatto che, per mancanza di forza astrattiva, essi non hanno ancora ridotto il valore alla sua sostanza semplice, ovvero, il tempo di lavoro (MEW, 26. 1: 14).[12]

Ma se vale questo limite di forza astrattiva, come hanno potuto i fisiocratici, pur senza ridurre il valore alla sua sostanza semplice, comprendere, comunque, che è nell’applicazione dell’Arbeitsvermögen che il plusvalore si genera?

Perché il loro sguardo è fondamentalmente diretto al lavoro agricolo ed è appunto in questo dominio, che si mostra nel modo più evidente e indiscutibile la Verwertung della capacità di lavoro, nel senso che qui è chiarissimo lo scarto tra la quantità di mezzi di vita, necessari alla produzione della capacità di lavoro, e la quantità di beni che, invece, quella stessa capacità produce; “nella manifattura –al contrario- non si ha direttamente sotto gli occhi [sott. mia, S.G.] il lavoratore né quando produce la massa di beni che lo mantiene in vita, né il surplus che rispetto a quella massa egli produce.” (MEW, 26. 1: 14).

Come si vede, i fisiocratici realizzano un paradosso: quello stesso fattore, che limita la portata scientifica della loro analisi (intendo, l’immediato empirismo di chi identifica produzione di beni e lavoro agricolo[13]), è poi il mezzo mediante cui, in qualche modo, quel limite (di capacità astrattiva) vien aggirato e, in questo senso, superato: infatti, nel caso del lavoro agricolo, è visibile -dunque, empiricamente accertabile- lo scarto fra i beni consumati nella produzione e quelli che, invece, risultano dalla stessa produzione.

Più in dettaglio, la dottrina fisiocratica rivela la propria limitata capacità astrattiva in alcuni passaggi fondamentali:  ad es., (a) nel momento di esporre (darstellen) cosa sia il valore, che, nel quadro di codesta teoria, non può identificarsi con una manifestazione (Daseinsweise) storicamente e socialmente determinata dell’attività umana, ma deve risolversi, invece, nell’empiristica indicazione di terra, natura, materia, variamente modificate. (MEW, 26. 1: 14)[14].

Ed ancora, quel limite si manifesta (b) nella concezione fisiocratica del lavoro produttivo, identificato –come sappiamo- con quello agricolo, poiché questi è l’unico a creare concretamente (schaffen) un plusvalore e, d’altra parte, la rendita fondiaria è l’unica forma di plusvalore, riconociuta dai fisiocratici (MEW, 26. 1: 17); si consideri, ancora, che –al contrario di quanto avviene col lavoratore agricolo- il lavoratore manufatturiero non accresce la materia che lavora ma, solo, ne muta la forma (MEW, 26. 1: 17). Insomma, “quello agricolo è il lavoro, in cui la creazione concreta (schaffen) del plusvalore appare empiricamente afferrabile (materiell hangreiflich) …” (MEW, 26. 1: 18).

Infine, (g) è sempre il difetto di forza astrattiva, che spiega perché nella prospettiva fisiocratica non possa trovar luogo il profitto del capitale -di cui la rendita fondiaria non è che una diramazione (Abzweigung): al fisiocratico il profitto appare, invece, come un tipo di salario, pagato dal propriaterio terriero al capitalista, il quale lo consuma come reddito.[15]

Se questi sono autentici limiti della prospettiva fisiocratica, resta vero, però, che questa stessa prospettiva esibisce anche caratteri, certamente consonanti con l’orientamento teorico fondamentale di Marx.

Basti sottolineare che oggetto dell’analisi fisiocratica è il sistema economico, dunque, un insieme, una ‘totalità’, autoregolantesi, le cui dinamiche rimandano, in ultima istanza, ad una serie ordinata di regole[16] e non hanno bisogno, per essere spiegate, che si ricorra a fattori esterni al sistema.[17]

Ma si aggiunga anche un’altra, importantissima considerazione: nell’ottica fisiocratica, il sistema economico si svolge, attua le proprie leggi e dinamiche, mediante le scelte e i comportamenti delle classi sociali.[18] Da ciò si cava che non esite un mondo dell’economia, a se stante, che dall’esterno condizioni e vincoli le figure sociali, sì piuttosto che l’insieme storico è, per sua natura, non astrattamente economico, ma sì economico-sociale[19].

 

 

 

 

 

Bibliografia:

 

 

Engels,Fr., Einführungen in ‘Das Kapital’ von Karl Marx, Berlin 1972.

Kolakowski, L., Main Currents of Marxism, Oxford 1987.

Marx, K., Teorie sul plusvalore.I, Roma 1951.

Marx, K. – Engels, Fr., Werke, Band 1 Berlin 1970; Band 26. 1 Berlin  1965.

Marx, K. – Engels, Fr., Werke, Band 26. 1 Berlin  1965

Napoleoni, C., Smith Ricardo Marx, Torino 1970.

Napoleoni, C., Lezioni sul capitolo sesto inedito di Marx, Torino 1972.

Ortega y Gasset, La idea de principio en Leibniz , Madrid 1979.

Pevzner, Ia., Il capitalismo monopolistico di Stato, Mosca 1978.

Platone, Opere complete, Bari 1977.

Quesnay, F., Il Tableau économique e altri scritti di economia, Milano 1973.

Roll, E., Storia del pensiero economico , Torino 1967.

Sismondi, J-C-L. Simonde, Nouveaux principes d’économie politique, Paris 1971.

 



[1] - Nella giovanile Judenfrage, Marx scrive che “la formulazione di un problema è la sua soluzione” (MEW. 1: 348); naturalmente ciò implica che quando la Formulierung di un problema non consente, invece, alcuna soluzione, ma addirittura caccia il problema stesso nel vicolo ceco di una contraddizione non mediabile (Widerspruch), allora sarà necessario ri-formulare quel problema, nel senso di collocarlo su basi nuove (l’intera Judenfrage può essere letta come illustrazione di tale monito). Questo principio metodologico era già implicito nel dialogo platonico Alcibiade Primo, quando Socrate si rivolgeva con queste parole al suo interlocutore: “le questioni su cui dai senza volerlo risposte contraddicentesi è chiaro che non le conosci “ (Platone, Opere complete. 4, Laterza 1977: 117a). A ben vedere, la formulazione socratico/platonica sottende che, posto che T sia la teoria accettata come vera rispetto all’oggetto O, e posto che da T si ricavino necessariamente, rispetto ad O, le proposizioni P e ØR (tali, cioè, che non possono essere contemporanamente entrambe vere), allora T non può essere, in realtà, accolta come teoria vera rispetto ad O. Il motivo viene ripreso e sancito da Aristotele, per il quale –ce lo ricorda Ortega y Gasset, La idea de principio en Leibniz, Madrid 1979: 145- la scienza comincia dall’aporetica ed è dialettica, nel senso che è un dialogo dell’uomo di scienza con se stesso, nello sforzo di saggiare il fondamento delle convinzioni acquisite, per uscire dalle difficoltà, che da esse derivano. Ricordiamo, infine, F. Engels che, nelle sue Einführungen in <Das Kapital> von Karl Marx []Introduzioni al Capitale di K. Marx], Berlin Dietz Verlag 1972, più volte ribadisce il nesso fra sviluppo della scienza economica –operato da Marx, riformulando l’intero spazio dell’economia- e superamento dei Widersprüche, in cui l’economia politica si era andata ficcando.

[2] - Rispetto a questo tema, è utile riandare a C. Napoleoni, 1972: 18s ed alla Prefazione di  G. Giorgetti, in K. Marx, 1961: 15ss.

[3] - Dall’Introduzione di  M. Ridolfi, a  F. Quesnay, 1973: XVIIn, sappiamo che Marx “conosceva la raccolta di saggi di Quesnay curata da Eugène Daire (Physiocrates, Quesnay, Dupont de Nemours, Mercier de la Rivière, l'abbé Baudeau, Le Trosne, avec une introduction sur la doctrine des physiocrates des commentaires et des notices historiques, Guillaumin, Paris, 1846). La raccolta, che ha costituito la base di altre, comprendeva gli articoli: Fermiers, Grains, Droit naturel, Analyse du tableau économique, Maximes générales, Premier et second problèmes économiques, Dialogues sur le commerce et les travaux des artisans. Quindi, Marx non conosceva i primi tableaux di Quesnay -con relative spiegazioni -anche se quasi certamente conosceva il tipo di tableau a zig-zag, perché spesso utilizzato da altri fisiocrati, ad esempio da Mirabeau. Lui stesso ce ne dà una conferma quando presenta il tipo di tableau, da lui reso famoso, affermando di aver scelto "la forma più semplice" … Non conosceva inoltre: Observations sur l'intérêt de l' argent -che i seguaci di Quesnay trascuravano di citare perché non ne condividevano le idee …  ; Lettre de M. Alpha, ecc. Probabilmente non sapeva, con la certezza attuale almeno, che il cap. VII della Filosofia rurale di Mirabeau fu, tranne la premessa e la conclusione, Scritto direttamente da Quesnay.”

[4] - Contro l’unilateralità sia dei mercantilisti (l’unico lavoro produttivo è quello dei commercianti, dunque, quello cittadino), che dei fisiocratici (l’unico lavoro produttivo è quello dei campi), A. Smith afferma la tesi che la ricchezza è creata da un qualunque lavoro (agricolo o non), da cui origini valore di scambio. (Sismondi, 1971: 87). In E. Roll, 1967: 139s. leggiamo che “il grande progresso che il pensiero economico deve a Smith consiste nella sua emancipazione dai limiti del mercantilismo e della fisiocrazia. Da duecento anni gli economisti stavano ricercando la fonte ultima della ricchezza. I mercantilisti avevano creduto di trovarla nel commercio estero. I fisiocratici erano andati oltre e avevano trasferito l’origine della ricchezza dalla sfera dello scambio a quella della produzione. Ma essi erano rimasti limitati entro i confini di una determinata, concreta forma di produzione: l’agricoltura. Adam Smith, costruendo sulle basi di Petty e Cantillon, portò a termine questo processo rivoluzionario. Con lui il lavoro in quanto tale diventa la sorgente di quel fondo di beni da cui ogni nazione trae in origine tutte le cose necessarie e comode della vita, che annualmente essa consuma. Come i suoi predecessori inglesi, Smith continua a parlare di ricchezza nel senso di oggetti materiali utili; tuttavia, facendo derivare questa ricchezza dal lavoro in genere, egli fu portato a indirizzare la sue indagine all’aspetto sociale piuttosto che a quello tecnico di essa.” (Roll, 1967: 149s). Una notazione di Marx, su cui vale la pena richiamare l’attenzione è la seguente: certamente, egli dice, Smith è debitore dei  fisiocratici, dai quali però si distingue, perché sa fissare in precise categorie le differenze indicate dai fisiocratici (MEW, 26. 1: 13). Dunque, Marx critica implicitamente i fisiocratici per il basso livello di astrazione, a cui si colloca la loro riflessione. “Smith fu … il primo a sviluppare tutte le categorie che formano il contenuto delle successive controversie economiche e gli economisti posteriori possono essere più facilmente studiati, facendo riferimento alla sua opera.” (E. Roll, 1967: 135, 168).

[5] - Quando Marx vuole indicare una componente o un elemento oggettivo del capitale, usa (anche se ciò non è sempre vero) il termine gegenständlich; quando vuole esprimere, invece, il concetto di leggi –ad es., quelle economiche-, che non possono essere arbitrariamente modificate, le connota (anche se ciò non è sempre vero) ricorrendo al termine materiell. In riferimento ai fisiocratici, Marx è interessato a chiarire che loro problema è comprendere come una singola componente oggettiva (nel senso di gegenständlich) del capitale possa rendere un surplus; ma ciò essi pretendono spiegare, considerando la singola componente, a prescindere dall’intreccio interattivo di fattori, senza di cui, in realtà, non c’è capitale.

[6] - Il verbo che Marx usa è auseinanderlegen, dunque, un termine, che suggerisce non solo l’immagine del rompersi, spezzarsi di un insieme, ma sì anche quella di una molteplicità di parti, che si dispongono l’una esternamente all’altra. Quello che, dunque, Marx vuol comunicarci è che, nel processo di esteriorizzazione del capitale, si realizza anche un’apparente indipendenza e reciproca indifferenza tra le sue singole parti, che –appunto- si disponono l’una all’esterno dell’altra.

[7] - Tenendo presente quanto detto finora, non ci sorprende affatto che Marx definisca la legge economica  <materielle Gesetz>: “Hegel e gli economisti classici ritenevano che non sia possibile comprendere molto della società, soffermandosi sulle intenzioni umane e sulle relazioni a cui esse danno luogo; esistono, invece, leggi regolative che operano anche se da nessuno osservate e sono esse –e non il pensiero umano-, che determinano i comportamenti.” (Kolakowski, 1987. 1: 270s). Il sovietico Pevzner cava da ciò una conseguenza importante sul piano della teoria propriamente economica: “Le ricerche della misura ideale del valore sono una chimera, un allontanarsi dalla vita sociale reale. La scienza reale, che si occupa dei rapporti  tra le persone e tra le classi nei processi di riproduzione dei servizi, non può porsi quale obiettivo quello di ricercare una misura stabile e immutabile del valore … è assolutamente impossibile  trovare questa misura nell’ambito delle utilità la cui commensurabilità dipende da un numero illimitato di fattori, dai gusti di milioni di persone (produttori e consumatori), dai desideri, dalle intenzioni, dalle possibilità che cambiano continuamente e che sono qualitativamente non confrontabili. L’unico fattore su cui la scienza è in grado di appoggiarsi nella ricerca di una misura del valore è il lavoro.” (Pevzner, 1978: 86, 87).

[8] - Naturalmente, su questo tema rinvio alle belle pagine dei Grundrisse, intitolate “Forme, che precedono la produzione capitalistica”.

[9] - Diciamo che qui son contenute due definizioni del valore dell’Arbeitsvermögen (questa è l’espressione che, nelle Theorien, Marx preferisce alla più nota Arbeitskraft o forza-lavoro) o, più precisamente, che la stessa definizione vien formulata in modi diversi e tali, per cui il secondo suggerisce meglio un punto fondamentale del rapporto capitale/lavoro. Se la questione, infatti, è quella del “prezzo dei mezzi di vita, necessari all’esistenza del lavoratore, in quanto lavoratore.”, si comprende facilmente che il possessore di capitale userà tutto il potere, che da questa sua condizione gli deriva, perché si imponga un certo standard di vita (favorevole al capitalista), come proprio del lavoratore in quanto tale. Si comprende, insomma, quale grande importanza abbia, anche, per il possessore di capitale disporre in esclusiva –e, dunque, à son gré- dei mezzi di comunicazione/propaganda di massa, allo scopo di determinare la forma di vita del lavoratore. Su quest’ultimo tema, cf. Ia. Pevzner, Il capitalismo monopolistico di Stato, Mosca 1978.

[10] - “L’estraneazione (Entfremdung) delle condizioni oggettive (gegenständlich) di lavoro e della stessa capacità di lavoro, evidentemente, sono presupposte in questa scambio (tra capacità di lavoro e salario/Lohn).” (MEW, 29. 1: 21).

[11] - Da MEW, 26. 1: 21 ricaviamo che il lavoratore agricolo, secondo i fisiocratici, produce più di quel minimo necessario a vivere, che prende come salario. Questa eccedenza è il plusvalore o rendita, di cui si appropria chi possiede le condizioni del lavoro. Ma non essendo saliti a quel livello d’astrazione che consente di ridurre il valore alla sua sostanza semplice (il tempo lavoro), i fisiocratici non arrivano a dire che il lavoratore lavora oltre il tempo necessario [sott. mia, S.G.] per la riproduzione della sua capacità di lavoro: di conseguenza il valore che egli crea è più del valore della sua capacità di lavoro; ovvero, il valore che egli ridà è maggiore di quello che ha ottenuto sotto forma di salario. I fisiocratici dicono, invece, che la somma dei valori d’uso [sott. mia, S.G.], che il lavoratore consuma nel corso della produzione, è minore della somma dei valori d’uso che egli crea e, così, resta un surplus di valori d’uso.

[12] - Da MEW, 26. 1: 25 – 28 ricaviamo che i fisiocratici sanno che il pv non nasce, ma si realizza nella circolazione. E sanno anche che il prodotto vien venduto al suo valore e non al di sopra di esso –ma è proprio perché lo scambio avviene secondo il valore, che il plusvalore si realizza. Il puro dono della natura, che (secondo i fisiocratici) la terra darebbe, è l’equivalente di quella parte del valore, che viene venduto al mercato, senza essere stato comprato, dunque, il plusprodotto … Per la prima volta nella storia del pensiero economico, i fisiocratici affermano giustamente che il plusvalore è lavoro non pagato, è valore prodotto senza contropartita da parte del lavoratore, ma che il capitalista realizza, vendendolo al mercato … d’altra parte, è pure vero che il plusvalore viene visto dai fisiocratici come un puro dono della natura, frutto della produttività naturale, dalla quale dipende se il lavoratore nel corso della sua giornata lavorativa è capace di produrre più di quanto corrisponde al suo salario.

[13] - L’empirismo dei fisiocratici è stato più volte sottolineato ed in particolare, a proposito di F. Quesnay, si è richiamata l’attenzione sull’influenza che l’esercizio della professione medica ha esercitato sulla sua concezione del denaro: lo stesso strumento tableau économique sembra dipendere strettamente dal modello meccanico della circolazione del sangue.

[14] - I fisiocratici operano un calcolo fisico del sovrappiù –leggiamo in Napoleoni, 1970: 35-, perché mancano di una teoria del valore.

[15] - I fisiocratici considerano il profitto solo come una sottrazione dalla rendita, possiamo leggere in MEW, 26. 1: 32. D’altronde, secondo Marx, la corretta analisi del profitto e del suo rapporto con il plusvalore e la rendita inizia, solo, con A. Smith (MEW, 26. 1: 18).

[16] - Napoleoni, 1970: 33s).

[17] - Come leggiamo in MEW, 26. 1: 18, nell’analizzare le leggi fondamentali della società borghese, giustamente i fisiocratici fanno astrazione dal commercio estero.

[18] - Il tableau économique mostra che, nella prospettiva fisiocratica, le classi sociali si individuano e distinguono, sulla base della diversa funzione, che svolgono nel sistema economico.

[19] - Ciò è naturalmente sta alla base della polemica di Marx contro la concezione usuale della categoria economica, come a sé stante, come realtà autosufficiente. Al contrario, secondo Marx, le categorie economiche sono modi reificati di presentarsi dei rapporti sociali.